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MONTE SAVUCCO |
L’avventura di oggi inizia dalla solita piazzetta di Santa Maria di Acquasanta Terme (AP). Il Cinghiale è onorato di avere come ospiti due che di montagne ne macinano a quantità industriali: Sibillini-mtb! Si parte prendendo a dx in direzione di Acquasanta e subito andiamo a tagliare il paese sfruttando una serie di scalini che sfociano sulla via Salaria. Pedaliamo su bitume per diversi chilometri costeggiando dall’alto il fiume Tronto. Passiamo la frazione di Quintodecimo e saliamo a Favalanciata. Questo antico borgo della montagna acquasantana, che compare già sulle carte quattrocentesche della chiesa di S. Giacomo di Quintodecimo, ha il suo massimo splendore nel XV° secolo quando è feudo dei Cavalieri di Malta. Essendo il borgo situato vicino la consolare Salaria ha risentito nell'800 degli assetti della strada, dei relativi ponti come pure della tentazione di staccarsi da Acqusanta per passare sotto la vicina Arquata. Nelle lotte comunali entra spesso in ballo per la sua fontana e l'utilizzo dell'acqua di deflusso. Saliamo su per il paese quando a dx incrociamo una carrareccia. E’ il sentiero 401 C.A.I. che risale il torrente Rigo. Percorriamo l’ampia strada che passa tra stupendi castagneti, in mezzo ai quali si scorgono antiche costruzioni su roccia arenaria. Curiosissima è una casetta in legno eretta a ridosso di un gigantesco masso, nel bel mezzo di un prato, vigilato da muli molto nervosi!!!. Si continua fino ad attraversare l’acquedotto di Pescara d’Arquata dove la carrareccia si trasforma in esile sentiero dalla pendenza sempre più accentuata. Bisogna affrontare ora circa duecento metri di dislivello in salita, procedendo bici in spalla tra la vegetazione e alleviati soltanto dall’intenso profumo dei ciclamini in fiore. Dopo una bella camminata, a tratti tra rovi e pendenze critiche, riusciamo a riprendere la brecciata poco sotto l’abitato di Capo di Rigo. L’ascesa fino al paese è breve ma dura, sono cento metri di dislivello da papparsi tutti d’un fiato. Giungiamo a Capo di Rigo e seguitiamo in salita sino ad un valico a quota 1050 metri circa. La strada comincia a scendere e da lontano già distinguiamo nitidamente l’abitato di Peracchia. Guadagnato anche il suddetto borgo, iniziamo a salire verso il secondo nucleo di case e arrivati ad uno slargo giriamo a sx per la traccia C.A.I. che nel primo tratto si mostra clemente ma poi si trasforma, attraversa il Fosso di Cervara e sale inesorabile nel bosco. La fatica inizia a farsi sentire, soprattutto quando il fisico è costretto a sforzi non indifferenti. Scavalchiamo alberi abbattutisi sul sentiero e puntiamo la vetta del Monte Savucco. Ivi giunti, il panorama è mozzafiato. Ci si affaccia su un balcone di arenaria e sotto di noi la foresta pare respirare. All’orizzonte…Pizzo di Sevo e Mecera della Morte. Seguendo la traccia 418 che si innesta sulla 416, siamo costretti a dei passaggi proibitivi. In parte il sentiero è franato, in altri punti è quasi invisibile. Il consiglio che possiamo dare a chi si avventura dal Savucco è quello di mantenersi sulla dx e imboccare una piccola traccia, più ripida ma meno ostica, che viaggia sulla cresta del monte e si riaggancia al sentiro 416. Tocchiamo Monte Vicito e prendiamo il 417 che, non senza fatica, arriva sotto Pizzo dell’Arco. Ad un certo punto sulla sx è evidentissima una traccia che sale decisa. Possiamo scegliere se portare o meno le bici fino al Pizzo per scattare l’incantevole foto amicizia. La vista dal Pizzo dell’Arco è qualcosa di terribilmente affascinante. Davanti a noi si para un salto nel vuoto che fa tremare le gambe soltanto al pensiero di sporgersi oltre il consentito. Sotto, la valle del Tronto. Peppe si sdraia a terra e striscia sulla roccia per rifarsi gli occhi sul burrone. Sergio, assuefatto da cotanto splendore stenta a proferir parola. Lo sforzo fisico fin qui subito non è da tutti i giorni ma quando si viene ricompensati dalla natura allora la stanchezza svanisce e le forze tornano come d’incanto. Ripercorriamo il tratto che scende dal Pizzo e torniamo sul 417 che adesso, finalmente inizia a scendere. Il single track è di quelli da cultore, il fondo è ben battuto e garantisce ottimo grip. Uniche insidie di rilievo sono le numerose radici mozzate presenti sulla traccia. Si perviene velocemente su un bellissimo castagneto dove un gigantesco castagno secolare segna il bivio con una sterrata a sx che si innesta con il sentiero sottostante N. 402. Ci manteniamo sulla dx e dopo un breve strappo in salita, possiamo di nuovo scagliarci in discesa per l’ennesimo avvincente single track che passa per Capo Castello. Con i nervi a fior di pelle e l’adrenalina a livelli d’attenzione finalmente arriviamo sopra Cocoscia. Non spendo più di tante parole per discesa infernale fino a Santa Maria in quanto il tratto rappresenta un “classico” del Monte Ceresa, conosciuto ed amato dai cultori dell’all mauntain, temuto da molti... e venerato da chi, come noi, si nutre di emozioni.
Il Cinghiale ringrazia per la partecipazione Sergio Barboni e Giuseppe Reversi e nel contempo avverte: questo giro è belllo quanto tosto!!!
CINGHIALE 28/04/2012 Santa Maria (AP)
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rpapero
01.05.2012 18:02